Petali e draghi tra i fili di seta
ROTAZIONE | Petali e draghi tra i fili di seta
Kesa, i pregiati mantelli rituali giapponesi.
In Giappone la parola kesa indica la veste tipica dei monaci buddhisti, nonché l’abito indossato dal Buddha stesso. Il kesa non è però un semplice indumento e ha un significato simbolico estremamente profondo, legato al risveglio, alla consapevolezza del praticante che lo indossa e alla connessione con l’intero universo. Questa veste viene tradizionalmente confezionata dal monaco stesso assemblando strisce di tessuto con cuciture sovrapposte e, nel caso dei kesa rituali, può essere realizzato con tessuti preziosi e decorati.
Le collezioni del MAO Museo d’Arte Orientale vantano una raccolta di pregiati kesa giapponesi che necessitano di essere periodicamente messi a riposo per motivi conservativi, come accade con i dipinti su carta e seta o le stampe; benché vengano esposti in apposite teche con piano inclinato, necessarie ad evitare eccessive tensioni del filato, le stoffe sono particolarmente delicate e soggette allo stress dell’esposizione: le decorazioni minute presenti in alcuni esemplari sono infatti ottenute con fili di seta e strisce di carta dorata, una tecnica che le rende preziose e fragili allo stesso tempo.
Dal 24 settembre 2020 al 28 marzo 2021 saranno esposti alcuni kesa a riposo ormai da diversi anni nei nostri depositi: si tratta di tre mantelli rituali in seta del XIX secolo, che presentano motivi e fantasie differenti. Il primo è un kesa in seta a sfondo rosso bruno, composto da sette fasce verticali ricavate probabilmente da un kosode, un tipo di kimono a maniche corte. Dallo sfondo emergono fiori stilizzati azzurri e verdi, ognuno dei quali inscritto in cerchi che si intersecano fra loro: una scelta cromatica e decorativa particolarmente essenziale e sobria.
Il secondo kesa è caratterizzato da uno sfondo bianco con disegni di draghi marroni tra nuvole color pesca, arancioni, verdi, viola, e motivi di onde azzurre. Il drago si presenta con i tipici attributi dell’unryū, il drago signore delle nuvole: l'espressione è feroce, con le fauci spalancate e gli occhi sporgenti; questa creatura fantastica ha lunghi baffi, corna biforcute, folte sopracciglia, peli ispidi, numerose squame lungo il corpo serpentiforme e la sua zampa artigliata racchiude una nuvola.
Nel terzo kesa ritroviamo nuovamente il motivo dei draghi, con nuvole e fiori, che si stagliano questa volta su uno sfondo blu petrolio. I draghi, squamosi e simili a serpenti, procedono verticalmente verso l’alto, emergendo fra le nuvole, e si alternano alla decorazione floreale e alle rappresentazioni delle mitologiche fenici. I fiori, in questo caso le peonie, sono disposte in un disegno concentrico che ricorda il movimento di un vortice, simbolo di dinamismo e vibrazione creativa, a cui è spesso associata la raffigurazione del drago.
Contestualmente alla rotazione dei tessuti, verranno esposti anche un kakemono e un contenitore per sūtra in pietra, che andranno a sostituire il paravento attualmente visibile. Il dipinto su carta di epoca Meiji (1868-1912) raffigura il Parinirvāna del Buddha, ovvero la scena del Buddha morente attorniato da una schiera di esseri umani e divini, bestie reali e fantastiche, tema iconografico fra i più frequenti nell’arte buddhista giapponese. Il corpo dell’Illuminato è di color oro, a simboleggiare il massimo grado dell’Illuminazione raggiunto, ed è coperto da un kesa che lascia scoperta la spalla destra: attorno a lui, numerose figure dalle espressioni addolorate e compassionevoli, alcuni esseri divini e la schiera dei dieci discepoli più meritevoli, riconoscibili grazie al mantello rituale che indossano.
Sempre legato all’ambito buddhista è anche il contenitore cilindrico con coperchio per scritture sacre, realizzato in pietra levigata e risalente al XII secolo, ispirato alla struttura della pagoda e dello stūpa. Si tratta di un’opera piuttosto rara – gli scavi archeologici ne hanno portati alla luce pochi esemplari – e importante sotto il profilo artistico, archeologico e storiografico: l’iscrizione incisa sul contenitore rappresenta infatti un documento fondamentale per conoscere i dettagli della sua creazione.
Informazioni utili sull'evento |
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Quando |
dal 24 Settembre 2020 al 28 Marzo 2021 | |
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Dove |
MAO Museo di Arte Orientale Via San Domenico, 11, 10122 Torino TO |
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Orario |
Giovedì e Venerdì 12.00 - 19.00 |
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Biglietti |
Intero: € 10 Le tariffe possono subire variazioni in presenza di mostre temporanee. |
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Norme Covid-19 |
L’accesso sarà consentito a un numero contingentato di visitatori finalizzato a garantire un’adeguata distanza interpersonale
Auspichiamo la collaborazione di tutti i visitatori. |
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Sito Internet |
https://www.maotorino.it/it/eventi-e-mostre/mostra-china-goes-urban | |
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Informazioni |
La biglietteria chiude sempre un'ora prima. L’uscita dalle sale è prevista 10 minuti prima della chiusura museale. Prenotazione consigliata ma non obbligatoria. |
China Goes Urban
China Goes Urban
La nuova epoca della città.
Dopo un lungo periodo di chiusura forzata e la ripresa nella tarda primavera, il MAO Museo d’Arte Orientale di Torino dà avvio alla programmazione autunnale volgendo uno sguardo al futuro, e lo fa attraverso una mostra originale dal titolo “China Goes Urban. La nuova epoca della città”, curata dal Politecnico di Torino e da Prospekt Photographers, in collaborazione con la Tsinghua University di Pechino e Intesa Sanpaolo.
La mostra è frutto di una ricerca pluriennale e propone al pubblico una prospettiva nuova e ampia che traccia una linea di continuità tra passato, presente e futuro, mettendo in relazione la cultura della Cina tradizionale con le imponenti trasformazioni delle città cinesi contemporanee. Un’occasione per approfondire e interrogarsi sulle sfide lanciate dai cambiamenti urbani in atto non solo in Cina, ma in tutto il pianeta. Partendo dall’esplorazione di alcune new town cinesi e delle contraddizioni innescate dai frenetici processi di inurbamento e di espansione urbana, la mostra punta infatti a stimolare una riflessione sulla città di oggi e del futuro.
La mostra
Ogni anno, in Cina, oltre 16 milioni di persone si spostano dalle aree rurali a quelle urbane dando origine a quella che è considerata la più grande migrazione di massa che il mondo abbia mai visto. Non si tratta di un processo “eccezionale”, ma di un trend globale: come rilevato da UN-Habitat, nel 2007 infatti la popolazione urbana del pianeta ha superato la popolazione rurale. Il fenomeno dell’urbanizzazione planetaria non implica però solo l'aumento della popolazione delle città o lo sviluppo degli insediamenti, ma anche l’incremento di sempre più intense relazioni sociali, economiche, politiche e funzionali tra le diverse regioni del mondo. Questo modello di sviluppo, che si è affermato nel corso dei secoli, presenta limiti e contraddizioni, sia dal punto di vista ambientale sia da quello socio-economico, particolarmente evidenti nell’attuale fase di incertezza dovuta all’emergenza sanitaria e alle conseguenze in termini economici e di inasprimento delle diseguaglianze.
“China Goes Urban. La nuova epoca della città” intende interrogarsi sui processi urbani, architettonici e di cambiamento socio-economico della Cina contemporanea, considerati come uno specchio in cui si riflettono le possibilità e i limiti della città contemporanea, in Cina come altrove. Intrecciando ricerca e immaginazione, la mostra è un’esplorazione di quattro new town – Tongzhou, Zhengdong, Zhaoqing e Lanzhou – attraverso cui indagare la nuova urbanizzazione cinese e condurre il visitatore a interrogarsi sul (nostro) comune futuro urbano.
Il percorso della mostra si snoda lungo due sequenze logiche: la prima prende il via dalla ricostruzione di una exhibition hall, luogo iconico tipico delle new town cinesi, in cui le amministrazioni pubbliche e le imprese di costruzioni mettono in scena la città per promuoverne lo stile di vita e i successi raggiunti, e arriva all’urbanizzazione globale. La seconda sequenza si muove partendo da spazi vuoti e atoni per arrivare alle persone, ai singoli individui ripresi nelle loro attività quotidiane o in ritratti “situati” dentro i nuovi insediamenti. Le due sequenze si intrecciano continuamente, smontando via via il rassicurante concetto di “eccezionalità” cinese: ciò che da lontano e a uno sguardo superficiale appare esotico e distante, si rivela molto più familiare di quanto crediamo.
Informazioni utili sull'evento |
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Quando |
dal 16 Ottobre 2020 al 14 Febbraio 2021 | |
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Dove |
MAO Museo di Arte Orientale Via San Domenico, 11, 10122 Torino TO |
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Orario |
Giovedì e Venerdì 12.00 - 19.00 |
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Biglietti |
Intero: € 10 Le tariffe possono subire variazioni in presenza di mostre temporanee. |
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Norme Covid-19 |
L’accesso sarà consentito a un numero contingentato di visitatori finalizzato a garantire un’adeguata distanza interpersonale
Auspichiamo la collaborazione di tutti i visitatori. |
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Sito Internet |
https://www.maotorino.it/it/eventi-e-mostre/mostra-china-goes-urban | |
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Informazioni |
La biglietteria chiude sempre un'ora prima. L’uscita dalle sale è prevista 10 minuti prima della chiusura museale. Prenotazione consigliata ma non obbligatoria. |